sabato 30 giugno 2012


Idee sul pensiero di Hans Jonas


Leggendo un articolo molto interessante qui, su un sito di filosofia sperimentale, di cui mi informerò meglio e scriverò, ho scoperto il filosofo Hans Jonas, di cui son quindi andato a leggermi la pagina su wiki per poi scoprire che anche il mio libro scolastico di filosofia riporta una sezione su di lui.
Ho molto apprezzato la contemporaneità del suo pensiero, soprattutto visti gli sviluppi sul clima che le attività umane stanno avendo.

Egli sostiene un'etica della responsabilità. La tecnologia che si sviluppa con l'avanzare del tempo ci sta mettendo in mano, infatti, strumenti sempre più potenti che sono in grado di influenzare la realtà in maniera impressionante, e prendere coscienza di ciò è un passo che va fatto. Quello che facciamo quotidianamente ha ormai un peso rilevante su tutti, a partire dai rifiuti e gli scarti che si accumulano in discarica, ma non solo.
Le attività umane che attingono direttamente alle risorse naturali sono quelle che più di ogni altra esercitano il proprio potere di modificare e alterare la realtà naturale.
Ma come si sente spesso dire:
"Da grandi poteri derivano grandi responsabilità"
Ciò significa che ogni persona deve essere conscia dell'impatto che il proprio singolo intervento comporta sulla vita di tutte le altre persone. Questo vuol dire responsabilità e da qui Jonas giunge al proprio imperativo categorico:
«Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra.»
Personalmente a questo pensiero toglierei l'aggettivo "umana", che risulta essere anche troppo antropocentrico. Ormai l'uomo dovrebbe aver capito che l'universo non è stato pensato come suo esclusivo playground. La vita dell'uomo è possibile anche grazie alle specie naturali, animali e vegetali, che popolano l'ambiente della Terra, ed è forse questa l'essere (vivente nel caso di Gaia) che deve essere protetto prima di tutto.


Mi vien in mente un possibile futuro, in cui saremo in grado di vivere anche senza la Terra, in cui ce ne andremo sulle nostre astronavi, se mai sarà. Come considereremo il nostro pianeta originario allora? Saremo una sorta di figli ingrati dal momento che siamo ormai in grado di provvedere a noi stessi, non diversamente da come un ragazzo guadagna l'indipendenza dai genitori?

Se da un lato potrebbe essere un fatalismo biologico evoluzionistico, la specie umana che assume il totale predominio dei propri mezzi, dall'altro rinnegare la nostra origine verso qualcosa di totalmente determinato magari, verso cui noi siamo gli stessi creatori e di cui siamo gli dei, non appare una scelta in grado di porre definitivamente in quiete le ansie spirituali umane.


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