giovedì 20 settembre 2012

Verità ed etica


  • Induzione - Descrizione 
  • Deduzione - Prescrizione


Tramite l'induzione descrivo passivamente quello che percepisco e cerco di formulare (pur in maniera inesatta e mai totalmente veritiera) delle ipotesi sulla realtà. Analogamente, per mezzo della descrizione definisco la realtà in base a ciò che percepisco oggettivamente e ugualmente non potrò mai raggiungere la verità, nel senso che non potrò mai affermare con certezza assoluta di averla raggiunta.

Con la deduzione invece sono già in possesso delle regole secondo cui la realtà dialettica che considero si attua, e le utilizzo perciò per dedurre i singoli casi. Tramite la prescrizione, similmente, preciso ciò che è corretto e ciò che è scorretto che ci sia nella realtà. In entrambi i casi, quindi, determino completamente la verità, e ciò l'ontologia del sistema. Tuttavia, se li applichiamo alla realtà entrambi sono completamente arbitrari, in quanto ci troviamo nella condizione di non poter sapere la verità a priori.

La prescrizione deve quindi essere usata per un'etica razionale, ovvero logica e non ontologica. Diversamente erano fondate le dottrine morali del passato, in primis quelle religiose (e quelle ancora oggi). Il tentativo della formulazione di tali dottrine è stato essenzialmente quello di provare a dare una maggior fondatezza ai principi etici tentando di farli derivare da una realtà concreta. Come ci dimostra Hume però ciò non è possibile. Il tentativo encomiabile delle religioni e delle etiche trascendenti non è quindi convincente per le persone più logiche.


Ontologia ed etica

Questa riflessione è strettamente interconnessa con molti altri temi, dall'ontologia alla logica, e per sua natura non potrà quindi risolversi in un unico e limitato argomento.
Qui mi ripropongo di cercare di capire se per arrivare ad un'etica efficace sia veramente necessario che a monte sia presente un'ontologia che definisca cosa siano l'essere e il non essere, e che rapporti intercorrano tra questi e i giudizi etici e morali. Prima di fare ciò è necessario partire dalla definizione di essere e non essere, innanzitutto in termini generali, successivamente riportando quello che io credo possano rappresentare.

Sull'essere e il non essere

Parmenide è colui al quale si fa risalire la prima definizione della nozione di essere (e quindi di non essere).
Come è intuibile anche dal linguaggio comune, l'essere è ciò che E', cioè che realmente esiste e consta della dimensione fondamentale cui tutto segue ed è subordinato. Insomma, l'inizio di tutto, ciò che fa si che la realtà appaia come appaia ai nostri organi di senso.

Da questa premessa si può capire come mai all'essere Parmenide avesse attribuito le caratteristiche di essere unico, infinito, immutabile e ingenerato. Questo concetto sarebbe poi stato attribuito a Dio con la filosofia scolastica del periodo medievale.
Tuttavia, questa concezione dell'essere non suona, secondo me, molto adatta a descrivere qualcosa di reale (non a caso è un tema metafisico). Infatti ritengo che la concezione di essere per come intende il filosofo sia prima di tutto una categoria umana, un "fermo immagine" prodotto dalla nostra mente esercitabile su qualunque ente essa si soffermi a considerare. Quanto detto da Parmenide, sostanzialmente, non si può che ritenere come l'affermazione del principio di identità ("a=a"). Ora, per quanto questo principio sia doveroso d'essere assiomatizzato in un sistema matematico, a livello di speculazione filosofica non penso sia un errore grossolano considerarlo come una semplice e ovvia tautologia.
Il rischio infatti di un'assiomatizzazione eccessivamente rigida e ferrea è quello di assegnare al simbolo a di volta in volta valori diversi (a meno che non si assiomatizzino anche i valori, ma per il nostro intento attuale ritengo sia eccessivo), che talvolta considerano l'elemento, talvolta la categoria, talvolta un attributo dell'elemento o della categoria.
Per questi motivi penso che l'Essere, ovvero il fissare un oggetto e quindi poterlo dire uguale o diseguale ad un altro, sia più un procedimento della mente, di indubbio vantaggio evoluzionistico (e quindi di origine biologica), e non una categoria esterna assoluta.

Per esempio, potremmo essere portati a dire che due mele siano uguali, o due oggetti a piacere. Ma in realtà, se consideriamo l'insieme universo, ovvero la realtà nel suo complesso (per quanto gnoseologicamente possibile), ciò che distingue due oggetti identici è il fatto di non essere lo stesso oggetto. Di fatto, in logica, ciò che è uguale, è de facto la stessa cosa, lo stesso oggetto. Da ciò è deducibile che una cosa è uguale a se stessa per definizione, mentre è uguale ad un'altra cosa in base ad una condivisione di proprietà, che possono essere di qualsiasi ordine (dall'aspetto fisico alla categoria in cui è considerato, quindi sia per cose percepibili che per categorie del pensiero).

Rimane ora da definire cosa potrebbe essere un Essere ontologicamente concreto su cui fondare la realtà. Tutti i vari filosofi hanno basato le proprie idee su una certa (e quasi sempre diversa) nozione di Essere: per esempio per Schopenhauer noi viviamo in una realtà separata dall'Essere dal velo di Maya, che ci impedisce di percepire la realtà vera. Sui concetti ontologici viene poi innestata spesso un'etica, da cui discendono le singole valutazioni morali.

Sull'etica che segue dall'ontologia

Una premessa necessaria è quella che riguarda il passaggio dalla descrizione della realtà (ontologia), alla prescrizione di norme di comportamento (ciò che è giusto che ci sia, l'etica). Hume ci fa notare come sia impossibile passare dall'una all'altra, ma sia sempre presente una prescrizione data per basilare e assiomatica.
Ora, qual è la sua correlazione con l'Essere?

Taluni, me compreso, ritengono che già nella definizione dell'Essere siano spesso presenti celate prescrizioni: in un certo senso "vediamo ciò che vogliamo vedere". Dato questo punto, ciò che c'è diventa anche ciò che è giusto, che vogliamo, che ci sia.

Ritengo ci siano, o si possano definire, due tipologie di Essere (che rimangono UNICI nei loro rispettivi, distinti, campi di applicazione):

  • il primo è usato per fondare un'etica, e quindi contiene in sé già una prescrizione. Questo tipo di Essere è spesso in dissonanza scientifica con la realtà, ovvero non riesce a rendere conto del reale in maniera efficace, data la sua natura soggettiva;
  • il secondo invece è un Essere "logico", ovvero su cui basare e con cui descrivere la realtà. Tramite di esso non è possibile derivare un'etica, come non si può farlo da un modello matematico o fisico.
Data questa distinzione, a parere mio possiamo quindi dire che la definizione dell'Essere "scientifico" spetta alla scienza, con tutti gli attributi che le riflessioni della filosofia della scienza possono assegnargli. Da questo discorso nasce anche la riflessione epistemologica sulla Verità, e la sua connessione all'Essere scientifico, nei vari modi in cui esso è pensato (dagli atomi di Democrito, ai quattro elementi aristotelici alle teorie più recenti).

Il primo invece, che serve a fondare un'etica, si può risolvere in assiomi condivisibili e su cui si può comunque impostare una discussione. In tal modo definiamo, pur già con giudizi di valore, cosa è giusto e cosa è sbagliato.

martedì 7 agosto 2012

Qualche riflessione su Hume

Idee sul pensiero di Hume

E' da un po' che non scrivo, e mi piacerebbe riprendere riassumendo quanto trovato qua riguardo al filosofo David Hume (1711-1776)

Per Hume l'esperienza non è in grado di fornirci conoscenze vere, ma solo probabili. Nonostante ciò, Hume ritiene il filosofare più impegnato una sorta di "sana metafisica", in cui partendo dai fenomeni, che vengono ricondotti ad un principio comune, e questi principi ad altri più fondamentali, si giunge a pochi semplici principi da cui dedurre i fenomeni e le loro leggi.
Qui Hume sembrerebbe appoggiare l'induzione, ovvero il fatto che sia possibile dal particolare dedurre una legge generale sempre valida.
Secondo il filosofo tutto lo studio si ricondurrebbe a quello della natura umana, in quanto è tramite essa che noi ci rapportiamo con il mondo.

Egli sottolinea la linea empirista dell'importanza di mantenere una connessione con l'esperienza.

Il sistema del sapere in lui si articola in :
  1. Logica ( = scienza del ragionare e della natura)
  2. Morale ( = scienza del sentimento)
  3. Estetica (= scienza del gusto)
  4. Politica ( = scienza dell’uomo sociale)

Logica

Hume analizza l'origine delle idee e delle impressioni, che non sono altro che percezioni. Questa base sembrerebbe essere fenomenista.
Egli divide le percezioni in:
  1. Sensazioni o Passioni (impressioni): sono quelle immediatamente presenti ai nostri sensi;
  2. Idee o Pensieri: sono quelle presenti ai nostri sensi solo mediante ricordi di sensazioni o passioni;
Le prime sono quindi sentite più fortemente, in quante più immediate nell'esperienza. L'uomo è quindi "ingabbiato" nell'esperienza: EMPIRISMO TOTALE.

Le Idee possono essere semplici o composte. Componendo le prime si arriva alle seconde: questo processo mostra una certa libertà di immaginazione, che trova però il proprio limite nel fatto che essa possa operare solo sul materiale fornito dalla impressioni e che procede rispettando certe regole di connessione.
Questi principi sono:
  1. Somiglianza: c'è un rimando a qualche cosa (un dipinto ci fa pensare alla persona ritratta), se è ad un'idea semplice e non un oggetto allora possiede la massima certezza (scienza, matematica);
  2. Contiguità spazio temporale;
  3. Causalità;

La forchetta di Hume

La gnoseologia Humeana ammette due tipi di conoscenza:
  1. Relazioni tra Idee: si fondano sul principio di non contraddizione (matematica, logica);
  2. Materie di Fatto: dipendono dal confronto delle relazioni con l'esperienza (scienze empiriche);
Alle prime Hume riconosce 3 caratteristiche: 
  • sono A Priori, cioè vengono dal pensiero ed indipendenti dall'esperienza;
  • sono Necessarie, in quante il contrario di una verità matematica è una contraddizione inaccettabile;
  • sono Sintetiche, accrescono la nostra conoscenza tramite proprietà e teoremi prima ignoti.
Il primo punto verrà contraddetto da Quine, che affermerà che persino la logica dipende dall'esperienza (forse un'empirismo ancora più radicale quindi). Per quel che riguarda il secondo punto invece, la necessità permane solo all'interno del sistema assiomatico, ma nel mondo informale dell'esperienza molte contraddizioni risultano comprensibili e in un certo senso accettabili.
Per esempio il fatto che:" L'unica verità, quella fondamentale, è che non esistono verità", per quanto logicamente si incorra nel paradosso del mentitore, metaforicamente presenta una certa, anche se non immediata, intelligibilità all'intelletto.

Per le materie di fatto invece:
  • La loro conoscenza deriva dall'esperienza;
  • A Posteriori;
  • Non necessaria, non fondata sul principio di non contraddizione.
Nell'esperienza l'intelletto procede mediante Immaginazione e Astrazione per via analitica e sintetica.
Anche in questo caso sono possibili Identità, Contiguità Spazio Temporale e Causalità.
Hume alla fine riconduce tutto alla terza, al principio di Causa-Effetto.

Critica al concetto di causa

Secondo Hume "l'inferenza causale dipende unicamente dall'esperienza" e non possiede quindi alcune carattere di necessità. Questa viene infatti inferita ma non dimostrata. Il principio riguarda ciò che è accaduto, senza poter stabilire che necessariamente riaccadrà. Hume abbatte quindi qui la portata conoscitiva dell'induzione, riducendo la causalità alla mera contiguità temporale. Più questa appare frequentemente per un fenomeno, più affermo la necessità che avvenga quel preciso fenomeno, ma in realtà tramite induzione non potrò mai giungere ad una legge "a priori" che mi dica che quel fenomeno avviene sempre (o in quelle determinate condizioni).

Il nocciolo è che è IMPOSSIBILE DIMOSTRARE che A è causa di B, perché dovrei dimostrare che B è in A e se così fosse il saperlo non aggiungerebbe nulla a quello che già so (sarebbe come dire x=x).

La certezza nel futuro quindi si troverà solamente in relazione a quanto frequentemente si è verificato quel fenomeno nell'esperienza, postulando una certa uniformità della natura. Questo postulato, fra l'altro, è totalmente empirico, in quanto indotto dalle esperienze e erroneamente fatto a legge da cui dedurre i casi particolari.

Anche l'idea stessa che il mondo esista deriva dall'abitudine e dall'immaginazione. In senso pratico e biologico è naturale pensarlo. Secondo Hume, invece che chiedersi come fare a sostenere l'esistenza del mondo, problema cui è impossibile venire a capo (intrascendibilità della mente e del linguaggio), ha senso chiedersi la cause che ci spinge a crederci. L'abitudine ci dà la base induttiva per creare l'esperienza e l'immaginazione "riempie" i buchi quando manca lo stimolo reale.
La realtà esterna non è quindi giustificabile, e l'unica cosa di cui si può essere sicuri sono le proprie percezioni.

Il nominalismo e le idee universali

Le idee universali, o astratte, sono collezioni di idee particolari derivate da impressioni o immagini di esse. C'è quindi sempre un rimando all'esperienza particolare (d'altronde non esiste l'esperienza generale) e da qui il loro carattere convenzionale. Esse non esistono, sono solo dei nomi.
L'abitudine è il principio che regola il passaggio dall'idea generale ad altre particolari.
Anche spazio e tempo sono idee astratte convenzionali, artificialmente costruite, non realtà oggettive.

Critica al concetto di sostanza

Tradizionalmente si assiste al dualismo tra sostanza materiale (oggetto) e sostanza spirituale (soggetto, pensiero). Per Hume la prima non è che un fascio di percezioni, che l'esperienza, l'abitudine e l'immaginazione, ci spingono a credere oggettive e composte da enti coesi, ma è solo il nostro modo di vedere le cose. 
Anche la sostanza spirituale è costituita da collezioni di percezioni, che si susseguono rapidamente e che sono causate dalla materia. Se venissero tolte le percezioni l'io non esisterebbe.

Il pensiero è quindi causato dal corpo e sta ad esso come l'ustione sta al fuoco.
Con questa conclusione il fenomenismo si attenua arrivando ad una posizione più materialista. Si potrebbe infatti dire che è solo per l'esperienza che crediamo che sia il corpo a generare il pensiero, proprio come il fuoco l'ustione.

Libertà e necessità

Se l’uomo dimostra un comportamento uniforme come la natura, egli sarà necessitato come essa. Hume riteneva che sia il determinismo che l'indeterminismo fossero incompatibili con il libero arbitrio, anticipando quindi tesi cui giungono anche Popper e Prigogine.

Morale

Si fonda sull'analisi delle passioni. Esse possono essere:
  1. Calme, il gusto estetico;
  2. Violente, il dolore;
  3. Dirette, il bruciore per un'ustione;
  4. Indirette, vergogna o emozioni collegate a costruzioni mentali.
Oltre a queste passioni, che dipendono dal mondo esterno, ce ne sono altre più originarie, che nascondono un "istinto perfettamente inspiegabile".

La passioni possono inoltre essere semplici o complesse (costruite, ragionate)
Desiderio, speranza e timore danno origine a passioni complesse.

All'origine dell'etica e della morale non c'è la ragione (che opera sulle idee), ma la Volontà, che suscita passioni e promuove o inibisce azioni. La ragione è sempre schiava delle passioni, che sono qualcosa di profondamente radicato nella natura biologica umana.

Per Hume quindi la morale è un'impressione ed è di carattere pratico.
La virtù si identifica con il piacere disinteressato, in quanto cerca di trascendere l'individualità mirando utilitaristicamente al massimo bene comune.

La libertà si ha quando si è in grado di agire secondo il proprio io senza condizionamenti esterni.

sabato 30 giugno 2012


Idee sul pensiero di Hans Jonas


Leggendo un articolo molto interessante qui, su un sito di filosofia sperimentale, di cui mi informerò meglio e scriverò, ho scoperto il filosofo Hans Jonas, di cui son quindi andato a leggermi la pagina su wiki per poi scoprire che anche il mio libro scolastico di filosofia riporta una sezione su di lui.
Ho molto apprezzato la contemporaneità del suo pensiero, soprattutto visti gli sviluppi sul clima che le attività umane stanno avendo.

Egli sostiene un'etica della responsabilità. La tecnologia che si sviluppa con l'avanzare del tempo ci sta mettendo in mano, infatti, strumenti sempre più potenti che sono in grado di influenzare la realtà in maniera impressionante, e prendere coscienza di ciò è un passo che va fatto. Quello che facciamo quotidianamente ha ormai un peso rilevante su tutti, a partire dai rifiuti e gli scarti che si accumulano in discarica, ma non solo.
Le attività umane che attingono direttamente alle risorse naturali sono quelle che più di ogni altra esercitano il proprio potere di modificare e alterare la realtà naturale.
Ma come si sente spesso dire:
"Da grandi poteri derivano grandi responsabilità"
Ciò significa che ogni persona deve essere conscia dell'impatto che il proprio singolo intervento comporta sulla vita di tutte le altre persone. Questo vuol dire responsabilità e da qui Jonas giunge al proprio imperativo categorico:
«Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra.»
Personalmente a questo pensiero toglierei l'aggettivo "umana", che risulta essere anche troppo antropocentrico. Ormai l'uomo dovrebbe aver capito che l'universo non è stato pensato come suo esclusivo playground. La vita dell'uomo è possibile anche grazie alle specie naturali, animali e vegetali, che popolano l'ambiente della Terra, ed è forse questa l'essere (vivente nel caso di Gaia) che deve essere protetto prima di tutto.


Mi vien in mente un possibile futuro, in cui saremo in grado di vivere anche senza la Terra, in cui ce ne andremo sulle nostre astronavi, se mai sarà. Come considereremo il nostro pianeta originario allora? Saremo una sorta di figli ingrati dal momento che siamo ormai in grado di provvedere a noi stessi, non diversamente da come un ragazzo guadagna l'indipendenza dai genitori?

Se da un lato potrebbe essere un fatalismo biologico evoluzionistico, la specie umana che assume il totale predominio dei propri mezzi, dall'altro rinnegare la nostra origine verso qualcosa di totalmente determinato magari, verso cui noi siamo gli stessi creatori e di cui siamo gli dei, non appare una scelta in grado di porre definitivamente in quiete le ansie spirituali umane.


sabato 23 giugno 2012


Dato il clima esterno credo sia appropriato e forse si intona anche con il mio umore.

Quello che mi piace della pioggia è che cala una cortina sul mondo, spazzando via il presente cristallizzando un momento di eterno rinnovamento, forse una sintesi tra essere e divenire.
E' come se mi confortasse bloccando il tempo e non la trovo una cosa sana ad ogni modo. Effettivamente a volte la odio quando ho dei programmi all'aperto!

venerdì 22 giugno 2012

Primo post di prova, ho molti dubbi su come utilizzerò questo blog, ma vedremo di far fruttare Ne e Fe, magari integrando Si.
Ehm, non avrete capito molto, mi riferisco al test MBTI dei tipi psicologici. Io sono INTP, l'architetto, il pensatore.
Questa pagina mi descrive appropriatamente direi. Avrò modo di parlarne ancora, essendo il mio primo post non credo di dilungarmi, anche perché essendo sotto esami è meglio che studio.
Ad ogni modo adoro pensare e quindi ho la passione della filosofia, soprattutto teoretica ed epistemologia, matematica e le scienze in generale. Apprezzo l'arte ma ne capisco poco, avrò modo di scrivere riguardo ciò ed i vari dualismi che compongono la mia vita.